BLACK OR WHITE – RECENSIONE
Black or White si presenta con una sceneggiatura precisa quanto lasciata al proprio destino. Tra acredine e conflitto di classe, rancore generale e generalizzante, il confronto per l’affidamento della nipote tra Kevin Costner e Octavia Spencer ha le dosi giuste nelle parole e nei momenti, ma la miscela errata di emozioni e atmosfere.
REGIA: Mike Binder
CAST: Kevin Costner, Octavia Spencer, Gillian Jacobs, Jennifer Ehle, Anthony Mackie
FOTOGRAFIA: Russ T. Alsobrook
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2014
DURATA: 121 min
USCITA: 5 marzo 2015
Mike Binder sembra deciso a non imprimere alcun sentimento deciso ed è così che una potenziale polveriera (di razzismo, droga, famiglia, risentimento e giustizia) diventa un interagire di personaggi sciatto in sequenze automatiche. Nessuna interpretazione brilla, così come nessun carattere, all’insegna del qualsiasi e del pressapochismo. Come si volesse tenere lontano il rischio di essere troppo greve o duro, Black or White scorre come una frettolosa breve di cronaca, facendo quasi rimpiangere l’assenza di stucchevolezza tipica di questo genere di film.
Le drammatiche scene private e famigliari si mescolano alle scene forensi – forti per caratteristica connaturata – nel modo più annacquato possibile mentre il resto lanciato al momento più opportuno e insieme tristemente blando, con un risultato buono per qualche palinsesto datato. Solo le visioni del vedovo alcolista Costner riescono a trasportare al di là della mera osservazione.
Il problema è che nessun personaggio risulta in grado di essere magnetico, di attirare e far piovere su di sé il potenziale della vicenda. Il regista è fin troppo super partes tanto da farci vivere il tutto con una lontananza impalpabile e anestetizzante. Insomma, un esile drammaturgo che se non avesse avuto Costner (di cui c’è da ammirare principalmente la voce, se visto in lingua originale) e la Spencer (con un’interpretazione tuttavia basata su faccette e occhi sgranati alla Abatantuono) nei ruoli principali non sarebbe stato in grado di darci motivo per approfondire la visione.
Ci ritroviamo ad arrangiarci, a piegare da soli momenti bidimensionali, a rielaborare i dialoghi alla ricerca del sentimento non manifesto, della sofferenza andata perduta sotto la mano di un blando Mike Binder. Un veleno o un vaccino in dose per bambini non troppo robusti.
Personaggio venefico: Reggie, padre tossico senza alcun spessore