RECENSIONE DI QUADROPHENIA
Ovviamente il movente è retrò-nostalgico e, prima di tutto, celebrativo: il cinquantennale degli Who, i trentacinque anni del film. Da considerarsi anche l’automatica esaltazione del poter vedere al cinema un film del passato (soprassedendo ovviamente sulla questione digitale/pellicola): di eventi Nexo Digital di questo tipo ce ne vorrebbero di più.
REGIA: Franc Roddam
CAST: Phil Daniels, Leslie Ash, Philip Davis, Mark Wingett, Sting, Ray Winstone
FOTOGRAFIA: Brian Tufano
COSTUMISTA: Joyce Stoneman
NAZIONALITÀ: UK
ANNO: 1979
DURATA: 117 min
USCITA: solo il 10 dicembre 2014
Andando oltre, evitando di cadere nella nenia: funziona ancora Quadrophenia su grande schermo in tutto il suo vigore 70s e 60s, amplificato fino ai bordi degli occhi e alla saturazione delle orecchie, raffinando passate impressioni (scie di ricordi di proiezioni in sala o visioni casalinghe più o meno recenti) mostrando con dirompimento ogni sua caratteristica, pregio o difetto che sia.
Il nostro approccio feticista si ritrova satollo, tra la vibrazione granulare delle immagini e il suono ovattato, i dischi e i costumi, i mods e i rockers, la Lambretta e i flipper, un giovane Ray Winstone e Sting. Vintage time warp a pieno, soprattutto nei dettagli visivi (per i quali le pupille devono muoversi veloci), nell’esagerazione, nell’overdose sonora rintronante, nel gusto pop-kitsch british (automaticamente punk, anche per quando il punk non esisteva), nella sfiorente parabola giovanilistica, ribelle, stolta, arrabbiata, desiderosa, delusa e ignara.
La regia di Franc Roddam (oggi indaffarato tra vari Master Chef), però, non appare valorizzata dal tempo che passa, lì a ricordarci che lui non è Ken Russell, che Quadrophenia non è Tommy e che stiamo assistendo al supporto di un’opera altra, nella quale la supremazia del suono e delle canzoni sulle immagini non riesce ad essere ribaltata né tantomeno pareggiata: più ordinario e molto meno astratto del precedente film degli Who, Quadrophenia è visione anni Settanta del decennio precedente, già sedimentato, chiuso e mitizzato.
Film che per questo rimane parziale e abbozzante (come i suoi personaggi), capace di sfruttare le icone ma non di diventarlo a sua volta. Pellicola doppiamente nostalgica, musicale senza essere un musical, priva della visionarietà e del delirio dell’Orfeo 9 di Tito Schipa Jr. o del The Wall di Alan Parker di poco successivo.
Adeguato aggeggio narrativo dalle coordinate spazio-temporali certe e ben salde, oggi da prendere come documento di una sempreverde-elettrica-moribonda tribolazione generazionale. Perché se sono certi canoni a fregare ancora oggi Quadrophenia, la corsa di Jimmy rimane comunque la corsa di tutti: in sella a una moto rubata, sul ciglio di una scogliera, distrutta l’illusione… senza fine, senza scopo, e senza sapere più niente (e senza averlo, forse, mai saputo).
Personaggio venefico: Jimmy, il protagonista, con il vuoto che emana.